Ecologia e critica sociale: quello che il marxismo ortodosso non vuole vedere

920425FA-3C95-42C4-9F90-F55467216354.jpeg L’articolo “La confusione degli animalisti(1)” pubblicato su La città futura richiama delle tesi abbastanza diffuse in alcuni settori politici che si definiscono marxisti (parte di Potere al Popolo, di Rifondazione, del PCI ecc.) e sulle quali riteniamo sia importante riflettere.
Le due questioni di fondo che l’articolo solleva possono, dal nostro punto di vista, ridursi a questi aspetti:
– un’errata valutazione del livello di cibo disponibile;
– un errato approccio all’idea progresso.
Per quanto riguarda il primo punto, l’autore sostiene che “tutto il cibo prodotto sul pianeta non è sufficiente per soddisfare le esigenze alimentari di tutti gli esseri umani”. Una tesi quantomeno problematica e non supportata da nessuna fonte. Al contrario, numerose ricerche, così come il rapporto FAO Livestock’s Long Shadow, hanno evidenziato che soltanto gli animali d’allevamento consumano una quantità di cibo tale da nutrire tra i 9 e gli 11 miliardi di persone(2). Lo studio dell’Istituto Nomina ha confermato questo dato per l’Italia mettendo in evidenza che le filiere animali italiane consumano 3 milioni di tonnellate di fave di soia e circa 9 milioni di tonnellate di farina di mais sufficienti da sole a sfamare quasi 60 milioni di persone con una dieta di 2000 kcal al giorno(3). I modelli produttivi del cosiddetto “primo mondo”, impiegano una percentuale di persone che oscilla intorno al 3% nei settori destinati alla produzione di cibo(4) e la superficie agricola utilizzata potenzialmente (ma ci auguriamo che questo non avvenga) potrebbe aumentare enormemente. Dunque, non riusciamo proprio a comprendere come si possa parlare di scarsità di cibo…

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Xenofemminismo/ Liberazione o aberrazione?

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Pubblichiamo la recensione presente su  rivista anarchica anno 49 n. 432 marzo 2019 (http://www.arivista.org/?nr=432&pag=69.htm#1

di Marco Piracci

L’uscita del volume Xenofemminismo (di Helen Hester, Nero, Roma 2018, pp. 164, € 15,00) sembra collocarsi in un quadro tanto nuovo quanto fortemente problematico. Le proposte avanzate nel testo si possono inscrivere all’interno del movimento culturale transumanista che considera indesiderati alcuni aspetti del corpo naturale e da ciò ne fa derivare una prospettiva di trasformazione post umana.
Ci tengo a precisare che se fino ad alcuni anni fa questo tipo di proposte erano considerate, per lo più, stravaganze di un piccolo nucleo di teoriche e teorici accademici, oggi sembrano, invece, ottenere un consenso sempre più diffuso. Mi sembra, infatti, che queste prospettive inizino a influenzare non solo l’area postfemminista e transfemminista, ma perfino alcune aree interne al movimento anarchico come il queer-movement e il giornale Umanità Nova (dove possono essere letti alcuni articoli in favore dell’orizzonte transumanista). È un aspetto inedito, che a mio avviso non si dovrebbe sottovalutare. Come ha ben sottolineato anche Alex B., uno degli autori più apprezzati nell’arcipelago LGBTQIA1: “Alcuni degli articoli, delle riviste o dei libri che sostengono tesi transumaniste o post-umaniste in chiave femminista/queer cominciano a trovare spazio e legittimità anche in luoghi e situazioni di attivismo e di critica al sistema.2
Lo xenofemminismo si dichiara in forte disaccordo con le componenti essenzialiste, ecofemministe, primitiviste e più in generale con l’arcipelago ecologista. Si definisce: “una forma di femminismo tecnomaterialista, antinaturalista e abolizionista del genere3”. Può essere considerato un tentativo d’interpretazione e integrazione del cyberfemminismo e in particolare delle opere di Shulamith Firestone e Donna Haraway che più volte vengono citate nel testo. Queste teoriche avevano ravvisato nell’innovazione tecnologica il perno tramite il quale contrastare le condizioni sociobiologiche oppressive. Spingendosi oltre, lo xenofemminismo rivendica una “Politica per l’Alienazione4” intesa come trasformazione della natura esterna e interna: “Il nostro destino è legato alla tecnoscienza, dove nulla è tanto sacro da non poter essere riprogettato e trasformato in modo da allargare la nostra prospettiva di libertà5”.
Questa proposta ritiene che l’aspetto centrale per la liberazione femminile consista nella modifica della natura stessa del corpo della donna tramite l’utilizzo delle tecnologie. Hester si concentra in particolare su due proposte.
La prima è quella di contrastare il ciclo mestruale tramite lo sviluppo dello strumento Del-Em (un dispositivo che permette l’aspirazione del mestruo per mezzo di cannule e siringhe) al fine di limitare lo stato di differenziazione biologica che a suo parere incide sui ritmi vitali.
La seconda è quella di contrastare e superare la gravidanza considerata, riprendendo la definizione di Firestone, “la deformazione dell’individuo nell’interesse della specie6”. Per questa motivazione è fortemente sostenuta l’ectogenesi ossia la riproduzione che non avviene all’interno dei corpi delle donne, ma in un ambiente artificiale. Lo xenofemminismo è infatti convinto che “i sistemi socio-tecnici si prestano più chiaramente a una politica antinaturalista7” e dunque “considerare il corpo come un potenziale luogo di intervento tecnopolitico femminista può essere uno strumento per rifiutare l’inevitabilità della sofferenza8”.
Questo tipo di lettura trova un’eco anche nelle proposte di Carlo Flamigni, figura di primo piano dell’associazione Luca Coscioni legata al Partito Radicale, il quale da tempo sostiene che i modelli di ectogenesi “consentiranno alle donne di sottrarsi alla schiavitù delle gravidanze9”.

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Verso il disarmo: non una prospettiva, una necessità

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di Claudia Q

Colgo l’occasione del lancio della “Campaing to stop the killer robots” avvenuto qualche giorno fa in Italia. Come possiamo leggere direttamente dal sito della campagna (https://www.stopkillerrobots.org), l’iniziativa è nata il 22 ottobre del 2012 per iniziativa di alcuni partecipanti di diverse associazioni non governative.

Questa campagna è sbarcata in Italia e presenta la sottoscrizione di circa 110 tra ricercatori e scienziati e tra i promotori troviamo anche la Rete Italiana per il Disarmo.

L’obiettivo primario di questa campagna è quello di contrastare l’utilizzo dei sistemi letali di armi autonome (LAWS è il loro acronimo in inglese).

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I movimenti animalisti in Italia

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di Claudia Q

Il 22 febbraio presso la Feltrinelli di via Tomacelli è stato presentato il libro di Niccolò Bertuzzi I movimenti animalisti in Italia.

La locandina dellevento ci presenta così il libro Chi si batte per i diritti degli animali nel nostro paese? Chi sono gli animalisti? E gli antispecisti? Unindagine sociologica analizza la complessa galassia animalista italiana. Il cosiddetto “movimento animalista” italiano, infatti, viene spesso inteso come un unico blocco, anche se in realtà è un intreccio di storie, linguaggi e modalità di azione completamente differenti.

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Elaboratoria Semi Ribelli

35b2d59f-d075-4ac6-be29-e94602547ebcRiportiamo con piacere il contributo di Beatrice Del Monte, attivista ecofemminista che fa parte di Semi Ribelli.

Elaboratoria Semi Ribelli

di Beatrice Del Monte

Chi siamo: L’elaboratoria Semi Ribelli è un gruppo sperimentale di autoformazione e sensibilizzazione collettiva, nato all’interno degli orti Tre Fontane. Partendo dall’idea che i semi siano un bene comune, si prefigge l’obbiettivo di promuovere l’utilizzo di sementi riproducibili e di creare, nel tempo, una riserva di semi accessibile liberamente a tutt*.

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Transfemminisno

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di Claudia Q

“Come gli organismi umani [e non umani], il suolo è un sistema vivente che per essere sano deve restare in uno stato di equilibrio dinamico”

Verso una nuova saggezza 

Fritjof Capra

Segnalo con piacere un volantino che ho avuto modo di leggere anche grazie all’incontro che si è tenuto il weekend del 11 novembre presso Scup organizzato dal gruppo di SEMInARIA. Il volantino è liberamente leggibile al seguente link (cosa che fa sempre estremamente piacere anche perché “La proprietà intellettuale è la peggior forma di proprietà privata” come diceva Bordiga)

https://anarcoqueer.wordpress.com/2018/10/16/trans-non-e-transhuman/

L’incontro, tra i diversi obiettivi che si proponeva, era di porre in risalto le forme di oppressione attuali presenti che coinvolgono gli animali umani e non umani, in una interessante ottica internazionalista. Tra i diversi laboratori, confronti, dibattiti che si sono svolti in un clima di grande rispetto si è avuto modo di ascoltarsi e confrontarsi, di vedere il vissuto doloroso di chi da questo sistema viene oppresso, schiacciato, incarcerato. Ad arricchire l’esperienza vi erano anche numerosi volantini, depliant, libri a cui accedere e che si poteva portare a casa con piccole sottoscrizioni volontarie o gratuitamente. Tra questo materiale di cui ho fatto incetta, essendo pubblicazioni di solito difficilmente reperibili, ho trovato anche un opuscolo di Alex B. “Trans non è transhuman” che mi sembra essere una lettura estremamente interessante. L’opuscolo affronta da un punto di vista radicale i limiti, le contraddizioni ed a volte, purtroppo, le ipocrisie che costellano il ricco panorama del movimento femminista.

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Frutteria

di Danilo Gatto

FRUTTERIA

“I clementini stanno a un euro e cinquantanove al chilo. Sono finalmente arrivate anche le zucche!”

“Aò certo che la domenica matina nun se po’ pià la metropolitana!”

“Due chili di patate in offerta a un euro e novantanove. Le facciamo al forno, tesoro?”

“Perché nun se po’ pià?”

“Mmm… Ah, ecco! I fagiolini sono saliti a quattro euro e cinquanta.”

“Perché è piena de froci!”

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L’URGENZA DEL FEMMINISMO

di Danilo Gatto

 

Mettiamola così: tra vostra madre, vostra zia e vostra nonna almeno una, nel corso della propria vita, ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale. È ciò che emerge da uno studio dell’ISTAT che rileva come, statisticamente, circa il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni (quindi una donna su tre) sia stata vittima di abusi, tentati stupri e violenze[1]. Fa ancor più riflettere che a esercitare queste “carinerie” nella loro forma più violenta (stupro) siano, nel 66,3 % dei casi, partner e parenti stretti[2]. Per tornare all’esempio iniziale: vostro padre, vostro zio o vostro nonno. Ma per quale motivo continuare a ribadire, attraverso i dati, quanto grave sia oggi la questione della violenza di genere? Per quale motivo intasare ulteriormente la rete quando già i telegiornali ne parlano da mane a sera?

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“VEGAN”: MANIFESTO PER UN ANTISPECISMO DEBOLISSIMO, PRATICAMENTE INESISTENTE.

di Danilo Gatto                       foto di Gloria Concutelli

Malgrado la negatività che il titolo di questa recensione lascia volutamente trasparire, l’ultimo testo di Caffo, al di là di girotondi filosofici di dubbia validità e a cui si accennerà più avanti, prova a centrare un punto di natura esclusivamente strategica: la comunicazione. Visti gli scarsi risultati fin qui raggiunti dal “movimento antispecista” anche soltanto a livello nazionale, non si può che guardare con  favore e speranza a questo tentativo.

Già nelle prime pagine l’autore evidenzia come “ogni attivismo, ogni movimento con pretese rivoluzionarie deve prima interrogarsi sul proprio metodo.”[1] Verrebbe da esclamare “Finalmente!” salvo poi tornare bruscamente alla realtà e ricordarsi che comunicare significa esercitare un linguaggio e che un linguaggio è composto dal significante e dal significato ossia da ciò che si dice e da ciò che si intende (e non si intende) dire dicendo quel che si dice; in breve, dalle parole e dal loro senso. E l’entusiasmo della prima ora arriva a esaurirsi non appena si procede con la lettura.

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